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emozione«C’era una volta…»

Molto spesso i ricordi più belli dell’infanzia sono legati a quel rito d’amore in cui, per augurarci la buonanotte, mamma o papà ci raccontavano fiabe meravigliose, abitate da personaggi magici come streghe, principesse e draghi.

Tutto era nuovo, meraviglioso, pieno di significati misteriosi; e tutto era allo stesso tempo già conosciuto, identico a se stesso e parlava di cose che esistevano da sempre.

Immedesimarci nel mondo di eroi immaginari trattenendo il respiro, ci ha aiutato a crescere, a fare l’esperienza del mondo reale.

Abbiamo riconosciuto come rilevanti, reali e soprattutto accettabili, emozioni come paura, rabbia, invidia, gelosia, ma anche gioia, tenerezza, amore, attraverso la percezione che una persona importante come mamma o papà ha condiviso la nostra esperienza narrandoci la fiaba.

Si tratta di un modo per convalidare un’emozione e un’esperienza, resa possibile dal fatto che la condividiamo non solo nel momento della lettura della storia, ma anche “per sempre”.

La storia stessa dice: “c’era una volta”, “tanto tempo fa”, “in un luogo lontano”, ma anche noi adesso, se qualcuno col racconto torna a farcele rievocare, continuiamo a entrare in contatto con quelle stesse emozioni.

In qualche modo è come se ci dicessimo: «E’ proprio vero, anche a noi è accaduto, accade e accadrà così a tutti gli uomini. Queste esperienze, queste emozioni ci appartengono in quanto sono umane. E quindi sono comprensibili, comunicabili, condivisibili».

Raccontare significa quindi coinvolgere l’ascoltatore, rievocando in lui i ricordi legati all’emozione.

«That’s what we storytellers do. We restore order with imagination. We instill hope again and again and again» – Walt Disney

 by Luisa Di Tolla

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