Ogni giorno vengono pubblicate 1,8 miliardi di foto sui vari social.
La comunicazione visual si afferma sempre più virilmente confermando le sue doti vincenti: semplicità di interpretazione, significazione e possibilità di prescindere da differenze linguistiche.
Impressionate da questi volumi, le aziende hanno aperto la caccia alle immagini e in particolari ai selfie.
Finalmente hanno capito che in una semplice fotografia postata sui social network possono nascondersi informazioni importantissime per i brand. Informazioni che riescono a raccontare il comportamento dei consumatori e che, una volta ripescate attraverso l’analisi delle immagini, possono dettare nuove strategie aziendali o indirizzare le major su specifiche campagne pubblicitarie. Per questo motivo, sempre più spesso, le aziende si rivolgono a società che si occupano di analizzare i profili social pubblici alla ricerca di loghi e brand che appaiono sulle nostre fotografie. Attraverso l’uso di software di “image recognition” – simili a quelli che Facebook usa per il riconoscimento dei volti quando ci suggerisce di taggare una foto – che sono in grado di riconoscere la presenza di un marchio in uno scatto anche se questo non è accompagnato da riferimenti testuali diretti, come citazioni nel post o hashtag.
Un arma che, nell’era in cui a dominare il web sono le immagini, fa gola a qualsiasi ufficio marketing. Naturalmente l’aspetto più interessante è il fatto che tali dati possono essere incrociati per ottenere le informazioni più diverse, ad esempio: l’orario in cui la foto è stata scattata, se l’autore era in compagnia o da solo e se il marchio è associato a un preciso stato d’animo.
Non solo: analizzando i selfie, ad esempio, Adidas ha scoperto che il 13% dei propri clienti è anche un fan di Justin Bieber, Heineken che i fan dei Metallica preferiscono la propria birra, mentre i fan di Beyoncé sono gran bevitori di Smirnoff Ice.
Un caso pratico di come le aziende sfruttino queste informazioni è quello dell’americana Chobani, produttrice di yogurt. Quando hanno scoperto che molte persone negli Stati Uniti pubblicano selfie mentre sono in macchina e mangiano yogurt, hanno deciso di creare una linea di confezioni pensata apposta per essere consumata in automobile.
Inutile parlare del successo presso i consumatori.
Anche in Italia si comincia a esplorare questa nuova frontiera del marketing.
I più interessati sono i brand del lusso che hanno uffici marketing molto esperti e che vogliono sfruttare le foto per avere vantaggi sulla concorrenza. Perché se da una parte questa tecnologia può essere usata per conoscere meglio i propri clienti, dall’altra può essere sfruttata anche per “studiare” gli avversari.
Naturalmente nel nostro paese a far discutere sono gli aspetti legati alla privacy che hanno già sollevato polemiche. Perché a molti l’idea che le aziende scavino nelle immagini di vita quotidiana alla ricerca di informazioni commerciali non va giù. L’accusa rivolta a queste società è quella di sfruttare i selfie a fini commerciali, senza chiedere alcun tipo di autorizzazione agli utenti.
Ma, per quanto si voglia polemizzare, la scelta finale è sempre del consumatore: perché nel momento in cui pubblica una foto online, dove assumersi la responsabilità di ciò che sta facendo rendendo egli stesso di pubblico dominio la sua privacy.
by Federico Bigagli